Castelfranco in Miscano e il fenomeno delle Bolle della Malvizza – Situato in provincia di Benevento, Castelfranco in Miscano è il comune più orientale della provincia. Lungo la principale strada di accesso, presso il confine con il comune di Montecalvo Irpino, sono presenti le Bolle della Malvizza. Cioè i vulcanetti di fango tipici della valle del Miscano. Andiamo alla scoperta di uno dei tesori della nostra amata Campania.
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Castelfranco in Miscano: la storia
Fin dall’epoca normanna, la nascita del borgo è legata alla contea di Ariano; nel Catalogus baronum, il feudatario locale era Rafrire. In epoca aragonese Castelfranco rivestì una notevole rilevanza strategica, tanto che lo stesso re Ferdinando giunse allo scopo di passare in rassegna le proprie truppe. In tale periodo il dominio passò nuovamente ai conti di Ariano, tra i quali Francesco Sforza e Innico de Guevara. Fra gli ultimi feudatari troviamo i Caracciolo, i Di Sangro e i Mirelli.
Da un punto di vista amministrativo il comune ha fatto parte del Principato Ultra fino al 1811. Poi passò alla Capitanata col distretto di Bovino e, infine, nel 1861 alla provincia di Benevento. Il nome, secondo alcuni, deriva dal possesso del castello da parte di un franco o francese. Secondo altri, in epoca angioina, l’aggettivo franco è sinonimo di “libero da tassazione”. L’aggiunta “in Miscano” si riferisce all’omonimo torrente, affluente di destra del fiume Ufita.
Castelfranco in Miscano: cosa visitare?
Tre Fontane
È un enorme complesso architettonico rurale di epoca rinascimentale ubicato lungo la linea spartiacque appenninica. A cavallo fra la valle del Cervaro e l’alta valle del Miscano, a un’altitudine di 725 m s.l.m..
Da un punto di vista amministrativo il complesso è situato nel territorio comunale di Greci (Avellino), presso il confine territoriale con Ariano Irpino e Castelfranco in Miscano.
Il complesso è composto da una grande masseria fortificata a pianta quadrangolare con un’ampia corte centrale. Formata da una taverna di forma rettangolare e da un modesto casale ubicato alle falde di un’antica cava di pietra. Ognuno dei tre edifici disponeva di una propria sorgente. E’ proprio da qui l’origine del toponimo.
L’insediamento delle Tre Fontane sorse all’incrocio fra tre antiche direttrici di traffico.
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La via Appia Traiana, risalente al II secolo d.C.
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Il tratturello Camporeale-Foggia.
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Il tratturello Volturara-Castelfranco, una diramazione del tratturo Lucera-Castel di Sangro.
Le Bolle della Malvizza
Costituiscono il più vasto apparato di vulcanetti di fango nell’Appennino meridionale. Dette dialettalmente “polle della merla”, territorialmente sono ubicate nell’Appennino campano, nel comune di Montecalvo Irpino, lungo un pianoro della valle del Miscano ad un’altitudine di 518 m s.l.m..
Si caratterizzano per l’emissione di idrocarburi gassosi a flusso continuo in acque debolmente salmastre e a temperatura ambiente. La componente solida del fango è costituita per oltre il 95% da argilla illitica, mentre calcite e quarzo sono presenti solo in tracce. Gli strati profondi del sottosuolo delle Bolle della Malvizza sono infatti costituiti essenzialmente da argille scagliose, alternate a stratificazioni regolari di brecciole e calcari nummulitici.
La causa del fenomeno dei vulcanetti di fango è attribuita alla presenza di giacimenti profondi di idrocarburi gassosi. I quali, in risposta alle sollecitazioni tettoniche compressive tipiche dell’area appenninico-adriatica, tendono a risalire verso la superficie. Determinando, così, il tipico gorgogliamento delle acque sorgive entro cui si infiltrano.
Il bosco di Castelfranco
Lungo la dorsale del Monte Tufaro, sullo spartiacque appenninico a cavallo tra il bacino del Fortore e la valle del Miscano, si estende il grande bosco di Castelfranco. Sottoposto a tutela quale sito di interesse comunitario. Lungo il margine settentrionale del bosco, al confine con Roseto Valfortore, è presente una sorgente di acqua sulfurea.
Il Caciocavallo di Castelfranco: il prodotto per eccellenza del borgo
È un formaggio prodotto con latte vaccino e riconosciuto quale PAT (prodotto agroalimentare tradizionale) dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
È ottenuto da latte di mucche di razza Bruna tenute in stalla o al pascolo a seconda della stagione e alimentate con foraggi di produzione locale. La tecnica casearia risale all’antichità. Il latte ottenuto dalla mungitura viene messo in barili in legno per favorire lo sviluppo della flora batterica per la formazione dei necessari fermenti lattici.
Molto importante nella produzione del caciocavallo è l’effetto del siero-innesto. Ovvero una sorta di contaminazione del siero acido sul prodotto fresco. determinata dal costante riutilizzo degli stessi contenitori in legno e metallo che non vengono sottoposti a lavaggio tra una lavorazione e l’altra.
Il latte, crudo o pastorizzato, viene mescolato con caglio di agnello e successivamente riscaldato fino a ottenere la temperatura di coagulazione. Dopodiché si provvede a rompere la cagliata con l’ausilio di spini di legno. Da quel momento ha inizio la fase di maturazione della pasta che si realizza per mezzo della scotta bollente ottenuta quale sottoprodotto della ricotta già lavorata in precedenza.
In seguito, le forme vengono modellate manualmente e sottoposte a salatura tramite salamoia. L’ultima fase, quella della stagionatura, dura molti mesi e avviene a “cavallo” di pertiche di legno disposte in orizzontale. Di qui il nome del prodotto finale che assume così una forma sferica con testina.
Le dimensioni e il peso variano da 1 a 3 kg. La crosta è sottile e liscia, inizialmente di color paglierino e, man mano diviene più scura. La consistenza è dura ma filata, con occhiatura non molto marcata mentre il colore finale è chiaro, talvolta avorio. Il sapore, molto aromatico, è dolce o piccante in funzione della lunghezza della stagionatura.